VANVERA

Tempo surgelato a lunga conservazione

Per la serie “Questioni di cui a nessuno frega una mazzafionda
di Eleonora Boscariol | Illustrazioni: Simona Tell

N.B.: la ripetizione incalzante della parola tempo in questo articolo non è un lapsus linguae, semplicemente non avevo tempo di cercare sinonimi azzeccati.

Mi metterò a parlare di tempo, ma ho poco tempo, perciò cercherò di farla breve.
Esistono due tipologie di tempo: un tempo cronologico, quantitativo e misurabile, quello scandito dalle lancette dell’orologio, e un tempo psicologico, qualitativo, non misurabile, sganciato dallo spazio e ancorato piuttosto alla coscienza individuale. La distinzione risale al filosofo francese Bergson, che a cavallo tra Ottocento e Novecento, opponendosi alla corrente del Positivismo, elaborò un insieme di teorie talmente originali, tra cui quella del tempo interiore, da essere riconosciute come “bergsonismo”. Fine dello spiegone filosofico sul tempo (che lo so che non avete tempo).
Ora, io ignoro in quale delle due tipologie di tempo vi riconosciate maggiormente, ma non potete negare di aver notato una differenza nella maniera in cui percepite il trascorrere del tempo a seconda del vostro stato d’animo. Quando a otto anni vostra nonna vi obbligava ad andare a messa con lei la domenica mattina, il momento del predicozzo sembrava durare più tempo di quanto ci abbia messo Dale Cooper a scoprire l’assassino di Laura Palmer. Poi, per contro, finiva la scuola, arrivavano le vacanze estive (tre mesi, mica poco), e non facevi in tempo a posare lo zaino il dieci di giugno che già iniziavi a sentire tua madre urlare Li hai finiti i compiti delle vacanze che la prossima settimana si torna a scUOLAA?? Ma come. Di già? Ecco, questa cosa qui è il tempo psicologico: in breve, se stai bene il tempo vola, se stai male, ti annoi o sei a disagio, il tempo non passa mai. E comunque si, siamo fottuti in entrambi i casi, dovremmo appunto averlo imparato fin da piccoli. Poi cresci e la cosa non cambia: la settimana lavorativa è eterna, il weekend, manco visto. Fatto sta che il tempo si configura come un concetto molto più spirituale e soggettivo di quanto suggeriscano la matematica e la fisica, anche se è più che altro in senso matematico e fisico che ci hanno insegnato a gestirlo e calcolarlo.

La premessa radical chic bergsoniana (speriamo a nessuno venga in mente di uccidermi, come è accaduto al professor Prospero dopo aver citato Spinoza durante un talk show, ne Il censimento dei radical chic), mi è necessaria per riflettere sul tema del tempo che ci manca. Perché non so a voi, ma a me personalmente pare di non avere mai abbastanza tempo. E mi riferisco al tempo personale, qualitativo, quello che serve per coltivare passioni e creatività, instaurare e rafforzare rapporti, innaffiare le piante, fare le marmellate in casa senza la chimica del Fruttapec, fermarsi a riflettere su me stessa e sulla vita, oziare, depennare titoli dalla mia chilometrica To Read List, scrivere libri, ascoltare podcast, andare a scorrazzare nei campi con il mio cane, mangiare sano, fare sport, dormire a sufficienza ma al tempo stesso stare svegli abbastanza da godersi la giornata, eccetera eccetera.
Questo riguarda me, ma poi penso anche ai genitori che non hanno
tempo da dedicare ai figli perché si sparano dieci ore di lavoro al giorno, a quella gente frenetica e spenta talmente impegnata in qualcosa da non avere tempo per rendersi conto che si è infilata nella vita sbagliata. Alla generazione dei post-millennials che non hanno tempo per giocare né tantomeno annoiarsi, perché pure loro hanno troppo da fare (la scuola, il doposcuola, i compiti, il nuoto – che bisogna mandarli perché si sa che è lo sport più completo – e poi il solfeggio, il laboratorio di scrittura giappo e chissà che cos’altro).

(Off topic, ma neanche tanto: leggo qualche giorno fa un problema di quarta elementare che dice: in una scuola media le lezioni durano 45 minuti ciascuna. Quante lezioni si tengono in quella scuola fra le ore 14.00 e le 18.39? Ora, pazienza la risposta, che tanto in matematica faccio schifo e sicuro la sbaglierei, ma che cazzo ci fanno dei bambini a scuola alle 18.39?? Capite? Poi non lo so perché in questo scritto mi sto tanto fissando sul tempo dei bambini, sarà perché è quella fase della vita in cui non hai ancora la sensazione che il tempo ti sfugga, lo vivi e basta).

Penso anche agli anziani, che non hanno tempo di aspettare il loro turno perché, appunto, sono anziani (non si sa mai quanto gli resta), e dunque passano davanti alle persone in fila alla cassa del supermercato e agli sportelli degli uffici pubblici (in pausa pranzo). Siamo tutti senza tempo e ossessionati dal tempo, ci affanniamo per farcirlo quando è vuoto e liberarlo quando è pieno. Come obbedienti ad una tacita legge antispreco violata a ripetizione. Alla fine facciamo sempre scadere le uova, perché non abbiamo avuto tempo per fare una frittata.

La mancanza di tempo di cui soffriamo è dannosa. E mi fa incazzare che poi c’è chi di tempo vuoto ne ha fin troppo: il limbo dei senza lavoro/inoccupati/compilatori di curriculum/frequentatori di interinali/cassaintegrati e di tutti quelli che in qualche modo sono stati espulsi o esclusi a priori dall’ingranaggio della frenesia produttiva, del tempo che macina denaro. Perché allora mi viene da pensare che in qualche modo il tempo che possiedi si possa contare in soldi che hai in tasca oppure no. Come dire che se vuoi avere tempo di cui disporre liberamente devi rassegnarti ad essere povero, o disoccupato. Il signor Rossi timbra il cartellino alle 8.30 del mattino e lavora otto ore, fa una pausa di 45 minuti, dorme 8 ore, dedica 1 ora alla famiglia, 20 minuti a se stesso: quanti euro ha nel conto in banca?

No, ci deve essere una misura delle cose che ancora non abbiamo imparato, un compromesso di felicità spazio temporale. Come succede nei paesi nordici, dove alle quattro del pomeriggio spegni il pc, lasci l’ufficio, prendi la bici e te ne torni a casa. Perché il corpo e la mente hanno anche bisogno di luce del giorno, di famiglia e di personalizzazione del tempo. Come in Danimarca, Svezia, Islanda, dove se fai gli straordinari i tuoi colleghi pensano che sei un po’ coglione (la stessa cosa che accade in Friuli quando non li fai). Ci deve pur essere una formula hygge internazionale che si possa ricreare ovunque senza che nessuno ci perda qualcosa. Mica lo si dovrà ancora spiegare ai datori di lavoro che i dipendenti felici sono più produttivi e propositivi?

Siamo talmente disabituati a possedere tempo esclusivamente nostro, che quando e se ci capita di averne, fatichiamo a gestirlo. Abbiamo mezza giornata a disposizione, vorremmo fare mille cose e non ne concludiamo mezza.  Dopo un weekend di libertà torniamo al lavoro ancora più insoddisfatti, non abbiamo sfruttato mai abbastanza il tempo che avevamo a disposizione. C’è sempre dell’altro che avremmo voluto fare, ma non abbiamo avuto tempo. Sai com’è, la casa da rimettere in piedi, la spesa, la cena di famiglia, il compleanno dell’amica di un’amica, l’inaugurazione di quella mostra che poi in realtà era una palla mortale, è inverno e le giornate sono troppo corte per ficcarci dentro tutto. Un’ora sprecata nel traffico, un’altra in coda da qualche parte (c’è sempre una coda, qualsiasi cosa tu debba fare), un’altra ancora ad aspettare il ritardatario con cui avevi appuntamento. Magari fai tardi il sabato notte e ti svegli la domenica a pranzo. E devi sicuramente andare in qualche posto dove non ti va di andare, solo perché qualcuno è stato bravo a convincerti, tanto non avevi di meglio da fare. Fine del weekend. Ma come. Di già?

Il fatto è che questa fretta cosmica, questa pulsante insoddisfazione e incapacità di personalizzare il tempo qualitativo della propria esistenza io la percepisco proprio nell’aria. È una cosa che si taglia con il coltello. Che non siamo un popolo felice è ben noto, non serve consultare le statistiche del World Happyness Report, basta concentrarsi sulle facce delle persone e sull’energia che emanano. Per carità, i motivi sono molteplici, certamente non è solo colpa del tempo che ci manca. Ma il tempo che ci manca, forse fa si che ci siano molteplici motivi per non essere un popolo felice. E ancora di più l’incapacità di fare del tempo che possediamo ciò che desideriamo davvero, ciò che ci fa stare bene.

Mentre aspetto che qualche inventore illuminato brevetti barattoli di tempo surgelato, a lunga conservazione, da scongelare all’occorrenza nelle giornate in cui ho la sensazione che il tempo quantitativo e misurabile si sia ingoiato quello di qualità, rifletto su come disporre al meglio del mio tempo interiore. Perché se è interiore (l’ha detto Bergson e mi fido abbastanza) vuol dire che almeno con quello ci posso fare ciò che voglio. È questa la chiave di lettura: se nel tempo reale dobbiamo per forza sottostare alla logica delle quantità, alla finitezza delle ore e agli impegni formali che consumano le giornate, nel tempo psicologico siamo liberi di fare ciò che ci pare. Ma è necessario essere consapevoli di possederlo, visualizzare il tempo che ci scorre dentro e sentirci padroni di esso così come possiamo padroneggiare pensieri, personalità, decisioni. Partire da qui per diventare bravi utilizzatori di tempo di qualità. Magra consolazione di una persona come tante, immersa nella frenesia del quotidiano? Indubbiamente si.
In effetti oltre ai barattoli di tempo surgelato, progetto anche una vita da freelance (parola che da sempre esercita su di me un fascino ciclopico) in cui faccio quello che ho sempre desiderato a tempo illimitato, disponendo a piene mani anche di quel tempo quantitativo che da tutta la vita offro ai progetti altrui in cambio di denaro. Ovviamente nella mia immaginazione tutto ciò accade dalla veranda verdeggiante di un cottage nel Surrey, io lavoro scalza indossando una vestaglia boho (pigiama e mollettone, nettamente più realistico), pianifico le giornate a ritmo di playlist del cuore spuntando cose portate a termine su un agenda di carta riciclata dai toni pastello (ahh… la cancelleria di design… un amore lungo una vita), e mi distraggo sovente a causa di un gatto grasso e peloso di nome Carlton, che mi sale sul Macbook. Quando mi sento stanca mi preparo una tisana alla curcuma e guardo il tramonto. Non so che ore siano né che giorno della settimana, lavoro fino a quando mi va e non possiedo stupidi orologi. Ho tempo.
Si, sono sempre stata un’idealista.

di Eleonora Boscariol | Illustrazioni: Simona Tell