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Migrant story telling #04

di Valentina Avoledo

Parliamo di migranti. Il lessico si è ingentilito, si stanno estinguendo parole come “clandestino” o “vu cumprà” (troppo anni 90) ma le intenzioni sono peggiorate. Da qualsiasi parte la si guardi “l’emergenza” è riuscita a cambiare la percezione dei fatti, dividendoci in due gruppi senza sfumature in cui si è o “buonisti” o “fascisti”, segno dell’enorme deficit descrittivo di un fenomeno pieno di variabili. Ogni giorno mi chiedo se “l’emergenza migranti” sia una prova di civiltà o una scusa per impoverire quelli che si sono rassegnati alla povertà, non la povertà dei mezzi e dei guadagni, ma la povertà del futuro “a uso transitorio” e a cedolare secca.

In fondo, ognuno ha il proprio progetto migratorio: vagare da un contratto a un altro, mettere via i soldi per l’intercontinentale, imparare l’inglese, prendere lezioni di tango, partire per l’Erasmus, mangiare sushi, comprare una tenda e uno zaino da trekking, eccetera. Nessuno di questi progetti prevede la morte o la fuga da una città in guerra. Già questo sarebbe sufficiente per provare un accenno di comprensione verso chi è costretto a farlo. La questione è talmente sfaccettata che non mi sento di spenderci le trite parole che tutti osano, credo sia sufficiente ricordare come la gran parte degli interessi delle nazioni sia concentrato sul potenziale economico dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” e molto meno sullo sviluppo umano dei suoi abitanti. Come se il causa-effetto che regola il mondo intero non valesse per l’equazione: impoverimento = fuga.

Al di là delle analisi economiche, geopolitiche e sociali, rivendico il diritto allo sdegno verso l’indifferenza e l’ignoranza che gravita intorno all’idea comune sui migranti.

Io li conosco, li conosco personalmente. Mi occupo di insegnare loro l’italiano, lo faccio da qualche anno. Ho conosciuto diverse decine di richiedenti asilo, asiatici e africani, perlopiù uomini, per la maggior parte musulmani. Cercherò di raccontare chi sono i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati politici, nella speranza che possano avere una voce, o magari solo un ritratto scritto. Per proteggere la loro identità chiamerò i maschi Mhm1, Mhm2 eccetera (Mhm sta per Muhammad) e Ftm1, Ftm2… (Fatima) le donne.

Ftm #01

Mentre era in classe, Ftm1 ha ricevuto la chiamata di un conoscente dal Pakistan: Tuo marito è vivo, Ftm1. Quando ha lasciato Islamabad, Ftm1 non sapeva che fine avesse fatto suo marito e c’erano solo due opzioni, o ucciso o in prigione. Anni senza ricevere sue notizie, mesi senza vederlo ritornare, per Ftm1 si prospettava l’avvenire delle vedove bianche: reclusa in casa, controllata a vista da suocera, madre, o cognate, isolata dal mondo e privata di qualsiasi spazio di manovra individuale.
Dopo le innumerevoli e inascoltate richieste ufficiali per conoscere la sorte del marito, Ftm1 decide di raggiungere la sorella a Copenhagen. Parte di nascosto, aiutata da qualche parente compiacente, arriva in Europa, toglie il velo e cerca lavoro come estetista. In Danimarca non credono alla sua storia, un racconto troppo fumoso per ottenere lo status di rifugiata. Eppure Ftm1 non potrà più mettere piede nella sua città perché fuggire al controllo della famiglia equivale ad averla disonorata.
In Italia le daranno il permesso di soggiorno umanitario per due anni, Ftm1 cerca lavoro e trova un centro estetico che le fa un contratto di un’ora a settimana. Ovviamente lavora quasi quattro ore al giorno, sabato compreso. L’hanno “assunta” soprattutto perché è in grado di fare la depilazione con il filo, nessun altro in zona conosce quest’arte che piace soprattutto agli americani.
Un giorno, la titolare le chiede cosa significhi la mano di Fatima che porta al collo, è uno dei simboli dell’Islam, amuleto antichissimo, diffuso in tutta l’Asia e nella religione ebraica. Meglio se lo nascondi, le dice “la parona”, qualcuno potrebbe offendersi. Ftm1 toglie il suo oltraggioso simbolo religioso, ma l’oltraggio che la parona non poteva immaginare è che tutte le clienti chiedessero di Ftm1 e appena la intercettano, le propongono di vederla privatamente. Ftm1 sa di conoscere una pratica che la distingue dalle altre, ma capisce che non è sufficiente e così si iscrive a un corso professionale per imparare, fra l’altro, i gusti estetici delle europee.
Quando ha ricevuto la telefonata che la informava del marito, Ftm1 si è commossa ma è come se quella notizia venisse da una vita precedente. Ora ha preso una stanza in affitto, metà giornata lavora e l’altra metà va a scuola. È morta una vedova bianca, è nata una donna.

di Valentina Avoledo