COSE,  Da leggere

La custodia dei cieli profondi

di Eleonora Boscariol | Fotografie: Paolo Burato

 

Titolo: La custodia dei cieli profondi
Autore: Raffaele Riba
Editore: 66thand2nd (2018)

Comprare un libro senza leggerne la trama, affidandosi esclusivamente a: il fascino della copertina, un progetto grafico di Silvana Amato, che utilizza immagini tratte dal testo Lectures on Astronomical Theories di John Harris.
L’aggettivo “profondi” presente nel titolo, che è una delle mie parole preferite perché vuol dire tutto e niente. Se non vuol dire niente, ho pensato, la lettura sarà stata una perdita di tempo, ma se vuol dire tutto, ne sarà valsa davvero la pena.
Il carattere blu notte con cui è scritto il romanzo. La trovo una sciccheria.
L’assenza della sinossi nella quarta di copertina: detesto le sinossi, impossibile inscatolare storie potenti in poche righe elusive. Meglio le citazioni (presenti nella prima e nella quarta di copertina), particelle elementari di romanzo che vivono di vita propria.

La custodia dei cieli profondi di Raffaele Riba, mi risulta da subito un libro assai difficile da recensire perché fino all’ultima pagina ho temuto di non capire granchè. Mi hanno senz’altro reso la cosa difficile i continui riferimenti all’astrofisica, alla chimica e alla geofisica, concetti con cui ho la stessa familiarità che potrei avere con l’araldica, per dire. Ma è stata proprio l’incomprensione temporanea a tenere viva l’attenzione fino alla fine. É stata poi la maniera terribilmente romantica di utilizzare le scienze esatte come specchio delle esperienze umane soggettive, a farmelo adorare.
Un romanzo onirico e cupo, sebbene a fare da leit motiv sia la luce di due soli: quello che tutti conosciamo e che ci accompagna dall’alba al tramonto, e un sole blu, prepotente e feroce, che sorge mentre l’altro tramonta eliminando il necessario buio della notte dalla quotidianità, in un ritmo circadiano che sovverte le leggi della natura, fa morire animali e piante, rende folli le persone facendo perdere loro il sonno. Specialmente quello del protagonista Grabriele, custode di Cascina Odessa, una casa mausoleo di ricordi famigliari, collocati in un passato remoto del cosmo.

Voglio solo dire che la casa è pelle, che la casa è cognizione, che la mia casa è un modo che ho per dire qualcosa di me.”

La luce dei due soli accende potenti riflessioni sui legami affettivi, sull’attaccamento e sul distacco, sul significato di quel luogo che chiamiamo casa, posto sicuro che spesso diventa prigione. Ma anche riflessioni sulla fratellanza e su quanto il non detto formi crepe profonde attraverso cui franano esistenze intere.

Gabriele nel paese di Lurano è chiamato “il matto”. Poco distante dal paese, sulle rive del fiume Roburent si erge la sua casa, Cascina Odessa, costruita dal nonno sopra i resti di un cane. Lui ne è diventato il custode, come chi cerca di curare e preservare, oltre alle mura, anche lo spazio metafisico occupato dai ricordi che tra esse si sono depositati.
Un tempo tutta la sua famiglia viveva a Cascina Odessa, poi in un lento disgregarsi di rapporti umani ognuno se n’è andato: prima il padre, quasi senza dare spiegazioni, poi la madre e per ultimo Emanuele, il fratello minore che ha scelto di studiare a Trieste e non è mai più tornato. Gabriele è rimasto solo, solo a sperare che tutto torni come prima e a sperimentare tacitamente l’abbandono. Mentre comprende che il passato fa ormai parte di un pianeta distante anni luce, assiste al progressivo logorarsi dell’involucro dei ricordi: la casa.
Attorno e dentro a Cascina Odessa lo scenario è apocalittico: il misterioso sole blu, il fiume Roburent che ha rotto gli argini e allagato lo scantinato, la muffa che cresce sulle pareti. La casa, ormai stanca di esistere e di contenere i vuoti lasciati da chi la abitava, si fa metafora di un’esistenza segnata dalla solitudine e dall’insofferenza.

“La cura, già, ci ho riflettuto spesso in questi ultimi tempi. E sono arrivato a pensare che sia un segreto che infatti non viene tramandato di bocca in bocca. Va di pena in pena. Le persone che curano – animali, piante o una scala – sono le uniche resistenze di cui il mondo dispone contro la dispersione.”

Attraverso la tematica dei legami spezzati Riba esplora la capacità umana di accettare il distacco. Quel confine che ci separa dal prossimo e che è l’aspettativa: l’aspettativa di essere amati e ricambiati, quella di essere considerati importanti e di essere tenuti vicini, sempre e a discapito di tutto. Quanto siamo disposti ad accettare che le differenze e le esigenze personali portino gli esseri umani a prendere strade diverse, a separarsi? Quando e con quanta fatica smettiamo di essere particelle di un nucleo e diventiamo altro da esso?

“Il primo diritto fondamentale di una persona è di potersi attaccare a qualcuno, affidarsi per osmosi a tutti quei comportamenti tra l’innato e l’acquisito che si imparano con il contatto cuore contro cuore, palmo contro schiena.”

Forse è vero che nel nucleo, quello famigliare, amicale, relazionale siamo elettricamente neutri e solo quando proviamo a viaggiare soli qualcosa di noi muore e si trasforma, permettendoci di propagare autentica energia. Forse è vero che l’essere umano guadagna senso come neutrone fuori dall’atomo. Nella totale libertà dai legami.
Eppure i legami ci ossessionano, ci fottono sempre e ci strattonano con violenza da una parte all’altra della vita. Sono il limbo impreciso in cui definiamo noi stessi e ci confondiamo con gli altri. Quella cosa che ci da e ci fa disperdere energia in uno scambio costante tra noi e ciò che sta fuori di noi. Difficile disfarsene, difficile rimanere allineati con se stessi nonostante il modo in cui essi mutano e si disperdono.

“Le cose umane sono una dispersione di energia, di quella mucosa che tiene insieme lo spazio e il tempo. Sono parte dell’inganno.”

Raffaele Riba è nato a Cuneo nel 1983. Nelle foto che ho googlato ha gli occhiali da nerd e gli occhi un po’ cerchiati di chi si fa viaggi notturni nelle righe dei romanzi che spero scriverà ancora. Cosa dire di più, se non che La custodia dei cieli profondi mi è parsa pura poesia della scienza, un elogio di come essa possa spiegare tanto le cose esatte quanto quelle inesatte. Non lo credevo e ora lo so. Parola di una che al liceo aveva buco in fisica e che ha passato la vita in balia di ozi letterari facendo la lotta alle tavole periodiche e a tutto ciò che rappresentano. Si cambia idea, a volte.

 
 

di Eleonora Boscariol | Fotografie: Paolo Burato